ACTION ACADEMY E IL FESTIVAL DI VENEZIA

Action Academy è un’incubatrice di talenti, un crogiuolo per le idee, un laboratorio del fare, ma anche lo spazio aperto per una riflessione qualificata che sappia fornire tanto agli studenti dei corsi di recitazione che a quelli dei corsi di creatività e produzione strumenti cognitivi diversificati per una comprensione delle dinamiche che governano il cinema tanto nella sua dimensione estetica che quella produttivo-distributiva.

È dunque con questo approccio, quello del bambino che rompe il giocattolo per vederne il funzionamento interno, che ci accostiamo al palinsesto della settantasettesima kermesse veneziana, per andare a ricercare e comprendere quelle che sono state le forze contrastive le scelte obbligate, le tensioni internazionali che stanno alle spalle del programma e che hanno determinato in ultima istanza la scelta dei film. Un percorso obbligato per gli studenti del corso di creatività e produzione impegnati anche come programmatori di palinsesti e organizzatori degli aspetti logistici della produzione ma di importanza capitale anche per i frequentatori del corso di recitazione, che forse un giorno proprio a questi meccanismi dovranno affidare le proprie speranze professionali.

Diversamente da quanto si crede, infatti, la selezione dei film non dipende solo “dai gusti” dei selezionatori, ma spesso è il risultato di un lavoro di mediazione tra considerazioni diverse, che tengono conto del genere di appartenenza del film (difficile che un film comico o un horror possano o aspirare al leone) della sua provenienza geografica nel tentativo di dare rappresentanza al più elevato numero di nazioni e culture possibili, dei risultati ottenuti nelle precedenti edizioni perché, per esempio, si cercherà di evitare di premiare per due anni consecutivi lo stesso regista, oppure si cercherà di tenere conto di considerazioni che riguardano la rappresentanza di genere, o il “marchio” di produzione come nel caso delle opere targate Netflix.

Il CINEMA USA NEL’ERA DEL POST-COVID

Quest’anno in particolare ha visto gravare sulle scelte di Barbera (Direttore della sezione Cinema) e Cicutto (Presidente della Biennale Di Venezia) un gran numero di ulteriori limitazioni e problematiche derivanti dalla disgraziata evenienza della pandemia covid 19, che tra sospensione delle produzioni, rallentamenti nella circolazione dei prodotti filmici e difficoltà di reperimento delle opere ha imposto scelte obbligate e mutamenti di scenario. 

Salta agli occhi, innanzitutto, la totale assenza dal palinsesto di film riconducibili ai colossi della produzione e distribuzione digitale che avevano rappresentato un consolidato trend delle edizioni più recenti come ben ci ricordano i programmi e le polemiche dell’edizione passata, in cui Netflix aveva ben 4 opere in lizza per il concorso principale (The Loundromat, The King, Marriage Story e Seberg) o dell’edizione numero 75, in cui furono i titoli di Roma di Ernesto Quàron (Leone D’oro), La Ballata Di Buster Scruggs dei Coen e Sulla Mia Pelle di Alessio Cremonini a portare al Lido il marchio del colosso digitale.

 Una scelta che non è da intendersi “contro” qualcuno o qualcosa, non è previsto infatti alcun match pugilistico nella categoria pesi massimi “Venezia Vs Netflix“, ma semmai come condotta consapevole “a favore” e a protezione di qualcun’altro, quel cinema di sala, di aggregazione e di corpi, che i mesi di forzata reclusione domestica ha reso malconcio e claudicante. Un tentativo di riabilitazione di una modalità di consumo di cinema sul piano personale, quella collettiva e “in sala”, che è al contempo una pratica di rivificazione di una struttura produttiva e distributiva precisa, in cui il cinema si diffonde fisicamente su territori reali attraverso la proiezione in molteplici sale cinematografiche, invece di  navigare tra i continenti incerti di quella terra senza geolocalizzazioni possibili che è la rete.

l’orrido Covid, come se non bastasse, è stato causa della latitanza quasi totale di due gruppi di opere, quelle statunitensi e quelle francesi, che in anni recenti avevano rappresentato uno dei punti di forza dei programmi del direttore Barbera. Se nel programma 2019, sommando i titoli provenienti da queste due aree si superava tranquillamente la trentina di presenze, nel programma attuale non si riesce a raggiungere la decina.

Sui problemi che stanno vivendo i cineasti e i produttori d’oltreoceano come onda lunga del Covid c’è poco da dire, la maggior parte delle produzioni sono state arrestate d’imperio e la fine lavori di praticamente tutte le produzioni di rilievo è slittata al 2021. Al Lido arriveranno dunque solamente Nomadland di Chloe Zhao, in concorso, che nel ruolo principale vede l’intensa Frances McDormand, unica “diva” USA a calcare il red carpet nostrano, Pieces of a Woman di K. Mundruczo, che in realtà è solo marginalmente un’opera made in Usa, provenendo dalle algide terre canadesi, e The World to Come di Mona Fastvold, tutti film non hollywoodiani per luogo di produzione, ma anche per atteggiamento estetico. Mancano cioè da questo programma i “filmoni” tipicamente USA, le classiche produzioni milionarie, Joker e Ad Astra, l’anno passato, che investono milioni di dollari in super effetti speciali e portano al lido le grandi star d’oltreoceano

Frances McDormand – Foto di John Turner: FonteCC BY 2.0

LO SPINOSO CASO DEI “BOLLINI” FRANCESI

Diverso  e ben più spinoso è il caso Francia, per via della spiacevole faccenda dei “bollini”, l’infiammante polemica che brevemente riassumo per chi non avesse avuto modo di seguirla.

Quest’anno quello di Cannes è stato un vero e proprio balletto sulle punte, in cui conferenze, dichiarazioni e poi nuove conferenze e nuove dichiarazioni si sono susseguite a ritmo battente. Cannes si terrà regolarmente, no non si tiene più, non è vero si tiene ma in forma parzialmente digitale, no tutta digitale, no non è vero non si tiene più. Morale della favola salta il più prestigioso Festival di cinema europeo, e salta tardi, quando ormai molte scelte già sono state compiute e molte opere selezionate. E allora che fa Thierry Fremaux, sovrano reggente di Cannes? Fa apporre sulle opere selezionate dal suo Festival inesistente un “bollino di qualità” con la dicitura « opera selezionata dal Festival di Cannes».

 In una delle conferenze più bollenti e seguite dell’anno, successivamente annuncia l’elenco delle opere “Bollate” unitamente alla lista di una selezione di festival internazionali a cui Cannes “concede” l’utilizzo dei “suoi” titoli nei propri palinsesti. « la palla è mia ma vi permetto di giocarci perché sono buono» come diceva sempre l’odioso figlio dell’ingegnere del quinto piano quando giocavamo in cortile. Fatto sta che la lista dei fortunati Festival concessionari annovera i nomi blasonati dei soli eventi, Toronto New York, San Sebastian, perfino la Festa Del Cinema di Roma, che si tengono dopo il Festival di Cannes, escludendo ipso facto quello di Venezia, che lo precede di diversi mesi. Ovviamente è prevista per i registi la possibilità di rinunciare al bollino francese per tentare l’avventura veneziana, ma si tratta di scegliere tra la sola Venezia e la possibilità di partecipare prima a Cannes e successivamente a una lunga serie di festival successivi, e la scelta per gli artisti bollinati pare quasi scontata. A questo si aggiunga che per regolamento Venezia presenta solamente opere in esclusiva e di prima visione, quindi gli sarebbero irricevibili quelle bollate con la dicitura «selezionato dal Festival di Cannes» così come i film che nel frattempo sono già usciti nei cinema francesi. Scacco matto. Tra registi che non rinunciano al bollino e opere già uscite, con questa mossa se ne vanno in fumo molte belle speranze per il Lido. Saltano nomi importanti come quello di  François  Ozon e quello di Wes Anderson con il suo attesissimo French Dispatch, steve McQueen con la sua nuova serie Small Axe, come l’esordio alla regia di Viggo Mortensen, Falling. La perdita che più ci addolora per quel malcelato senso di appartenenza nazionale è quella dell’attesissimo Tre Piani opera nuova di Nanni Moretti, dapprima ostentata a mo’ di gagliardetto dal direttore Fremaux, selezionata e “bollinata”, e poi non inserita nella selezione ufficiale.

Thierry Frémaux – Foto di Dick Thomas Johnson: FonteCC BY 2.0

UN BASTIMENTO CARICO DI…ITALIANI

Tra produzioni bloccate, divieti e Bollini Cicutto e Barbera si sono visti costretti a praticare percorsi di sguardo nuovi e alternativi, e questo forse resta l’aspetto più positivo delle limitazioni post-Covid. Una risorsa importante si è rivelata certamente la fauna nazionale, che fornisce al palinsesto un apporto addirittura massivo se pensiamo che tra Concorso, Orizzonti e Fuori Concorso (uniche sezioni principali ancora in piedi, dopo il deferimento di Venezia Classici al Cinema Ritrovato e la digitalizzazione della sezione V.R.), arrivano a contare la cifra impensabile di ben 16 titoli. Aprono Andrea Segre, con Molecole, film di preapertura, e Daniele Lucchetti con il film di apertura ufficiale, anche se fuori concorso, Lacci, che sciorina un cast italianissimo di spiccata qualità recitativa: Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, addirittura Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno e Laura Morante, i soliti noti, certo, ma anche attori di valore.

Alba Rohrwacher – Foto di Siebbi: FonteCC BY 3.0

Anche 4 dei 18 titoli del concorso principale saranno italiani. Le Sorelle Macaluso di Emma Dante che porta sullo schermo un confronto tutto al femminile dipanato su tre generazioni. Miss Marx di Susanna Nicchiarelli che racconta la storia della figlia del mitico Padre del socialismo ricomponendo sullo schermo l’immagine di una femminilità anticonformista e indomita. Anche l’ormai inarrivabile Favino è in corsa per il Leone d’oro con il più duro ed autobiografico Padrenostro di Claudio Noce, che ripercorre la linea di sangue che ha attraversato i nostri anni 70. E poi il rientra nella lista il “bomber” Gianfranco Rosi, che dopo i colpi allo stomaco e i successi internazionali di Sacro GRA e Fuocoammare, è considerato tra i papabili per il Leone con un’altra storia difficile visionaria di orrori quotidiani tra Siria, Iraq, kurdistan e Libano che intitola Notturno.

 Dalla sezione Orizzonti ci viene la bella promessa di un Guerra E Pace girato dal duo Martina Parenti- massimo D’Anolfi che dopo l’esorbitante Spira Mirabilis e il lirismo tsotteraneo-visivo del meno ambizioso Blu si sono attestati tra le realtà più interessanti e nuove del documentarismo internazionale (ma per ciò che fanno il termine sembra un po’ riduttivo) . E sempre in Orizzonti debutterà Pietro Castellitto, di padre Sergio, con I Predatori. Per i documentari Guadagnino racconta Salvatore Ferragamo, mentre Giorgio Verdelli Paolo Conte. Nella sezione Fuori Concorso troviamo anche Salvatore Mereu, che dopo la poesia intima e adolescenziale di Bellas Mariposas, quest’anno ci racconta una Sardegna minore, in bilico tra tra modernità e tradizione in Assandira. Un’Italia presente in tutte le sezioni e con tutti i generi, dal documentario alle opere di finzione.

Gianfranco Rosi – Foto di Paul Katzenberger: FonteCC BY 4.0

FESTIVAL MULTI ETNICO E PLURICULTURALE

Oltre a questa invasiva orda di film italici le scelte che si sono dovute operare per superare l’impasse post Covid hanno plasmato un programma che al di là di alcune conferme regala anche sorprese creative. Se infatti nel concorso principale non stupisce più di tanto il ritrovare affianco dei 4 italiani Konchalovsky e Amos Gitai, certo ci pare più sorprendente la presenza di un creatore di indimenticabili fantasmi come Kyoshy Kurosawa, regista Cult del J-Horror, l’horror di marca nipponica, che difficilmente in condizioni di normalità avrebbe avuto accesso alla competizione principale (al massimo poteva aspirare ad Orizzonti). Chissà poi se un film dal piglio stilistico così fortemente anti hollywoodiano, essenziale e densissimo, come In Between Dyng di, di Hilal Baydarov, in altri anni avrebbe potuto concorrere per il Leone D’oro. E sempre nel concorso principale il messicano Michel Franco, con Nuevo Orden, l’iraniano Majid Majidi, con Sun Children,la regista polacca Małgorzata Szumowska, con Never Gonna Snow Again, l’indiano Chaitanya Tamhane, e la berlinese Julia Von Heinz. 

Un palinsesto “melting-pot” all’insegna della multiculturalità e dell’inter-etnicità, insomma.

Grandi speranze ci provengono ancora dalla sezione Fuori Concorso per quello che certa critica attende come unico vero evento cinematografico della Mostra, City Hall, nuovo e inspiegabilmente breve, solo 272 minuti (quattro ore e mezza), capitolo della ricerca antropofilmica di Federick Wiseman sul mondo.

Frederick Wiseman – Foto di Charles Haynes: FonteCC BY 2.0

VARIE ED EVENTUALI

Tra le altre cose interessanti si potrà andare a vedere Sportin’ Life di Abel Ferrara, nella sezione Non Fiction, Quentin Dpieux con l’insolita storia di una mosca gigante in Mandibules, in Fuori Concorso, mentre tra le Proiezioni Speciali troviamo il primo episodio di 30 Monedas, serie diretta da Álex de la Iglesia e Omelia Contadina lavoro a quattro mani del francese JR e della nostra amata Alice Rohrwacher.

Le opere sono scelte, le sale approntate, il Festival di Venezia è pronto e Action Academy con lui. Continuate a seguirci per approfondire e curiosare, cercando di vedere sempre quello che sta dietro la facciata del cinema internazionale. 

Abel Ferrara – Foto di Georges Biard: Fonte – CC BY 3.0

Copertina: Foto di Franz van Duns: FonteCC BY 4.0